lunedì 30 gennaio 2017
Maddalena una delle Grazie di Foscolo
UGO FOSCOLO LE GRAZIE
(Luigi De Bellis)
Il carme, LE GRAZIE, che non fu mai ultimato e neppure definitivamente ordinato dal Foscolo, si compone di numerosi frammenti lirici, in sé compiuti, per un totale di circa 1300 versi sciolti.
Gli anni che il poeta dedicò maggiormente alla composizione de “Le Grazie” furono il 1812 ed il 1813. Inizialmente il Foscolo concepì il carme in un unico Inno, ma successivamente il disegno si ampliò e gli inni divennero tre.
In quegli anni Antonio Canova, il più illustre scultore neoclassico italiano, aveva appena ultimato una statua rappresentante Venere che esce dal bagno e stava iniziando a lavorare ad un gruppo delle Grazie per incarico di Giuseppina Beauharnais. Il Foscolo pensò dunque di dedicare proprio al Canova il Carme.
L'argomento
Il Foscolo immagina di dedicare, sul colle di Bellosguardo in Firenze, un tempio alle Grazie (le tre figlie di Venere: Eufrosine, Aglaia e Talia), “divinità intermedie tra la terra e il cielo”, “abitatrici invisibili tra gli uomini”, di cui mitigano la ferinità, favorendone l’incivilimento.
Alle Grazie immortali
le tre di Citerea figlie gemelle
è sacro il tempio, e son d'Amor sorelle;
nate il dì che a' mortali
beltà ingegno virtù concesse Giove,
onde perpetue sempre e sempre nuove
le tre doti celesti
e più lodate e più modeste ognora
le Dee serbino al mondo. Entra ed adora.
Quindi inizia il primo Inno, intitolato a Venere (simbolo della bellezza universale), nel quale si descrive l’apparizione della Dea nelle acque del mar Ionio in compagnia delle Grazie e l'inizio dell’incivilimento dell’uomo. Fino a quel giorno gli uomini erano vissuti nella più squallida ferinità, lasciando arrugginire l’aratro che aveva loro donato Cerere e divorando selvaggiamente il frutto della vite, dono di Bacco, prima ancora che il sole autunnale lo facesse maturare. All’apparire delle Grazie gli uomini ammutolirono. Deposero le fiere armi e le ruvide pelli e incominciarono ad ingentilirsi scoprendo le arti. Quando Venere decise di tornare fra gli Dei, lasciò le figlie sulla terra perché rendessero più gradito ai mortali il soggiorno terrestre, invitandoli costantemente alla pace, all’amore, alla poesia.
L’effetto benefico delle Grazie si propagò dapprima in Grecia e per due volte esse furono ospiti dell’Italia, prima in Roma, nell’età antica, poi in Firenze, durante il Rinascimento.
Ora però le Grazie sembrano essere state bandite dagli uomini. Il Poeta promette di rinnovarne il culto nel tempio da lui eretto a Bellosguardo ed implora il loro ritorno.
Il secondo Inno, intitolato a Vesta (simbolo delle virtù umane), rappresenta il sacro rito che si celebra dinanzi all’ara delle Grazie, cui il Poeta invita i giovinetti che la guerra non ha ancora strappati alle madri, perché allontanino i profani dalla sacra soglia del tempio. Il rito si compie con l’ausilio di tre bellissime sacerdotesse - tre donne amate dal Foscolo: Eleonora Nencini di Firenze, Cornelia Rossi Martinetti di Bologna e MADDALENA MARLIANI BIGNAMI di Milano - che rappresentano rispettivamente la musica, la poesia e la DANZA.
La prima sacerdotessa, la Nencini, esce dal suo palazzo di Firenze (il palazzo Pandolfini, la cui costruzione il Foscolo attribuisce erroneamente a Raffaello Sanzio, mentre fu opera di Gianfrancesco Sangallo e Bastiano d’Aristotile) e si accosta all’ara per offrire alle Grazie il suono dell’arpa.
La seconda sacerdotessa, la Martinetti, offre alle dee un favo, simbolo dell’eloquenza e della poesia, mentre il Poeta coglie l’occasione per fare un rapido excursus della letteratura greca e italiana (le due anime del Foscolo), rievocando Omero, Corinna, Pindaro, Saffo, Dante, Petrarca, Boccaccio, Boiardo, Ariosto, Tasso.
La terza sacerdotessa, MADDALENA MARLIANI BIGNAMI, danza leggiadramente dinnanzi all’altare delle Grazie e consacra loro un cigno offerto in voto dalla viceregina d'Italia Amalia Augusta di Baviera per ringraziare gli Dei del ritorno del marito, Eugenio Beauharnais, dalla campagna germanica del 1813:
SOSTIEN DEL BRACCIO UN GIOVINETTO CIGNO,
E TOGLIESI DI FRONTE UNA CATENA
VAGA DI PERLE A CINGERNE L'AUGELLO.
QUEI LENTO AL COLLO SUO DEL FLESSUOSO
COLLO S'ATTORCE, E DI LEI SENTE A CIOCCHE
NERI SU LE SUE LATTEE PIUME I CRINI
SCORRER DISCIOLTI, E PIÙ LIETO LA MIRA
MENTR'ELLA SCIOGLIE A QUESTI DETTI IL LABBRO:
grata agli dei del reduce marito
da' fiumi algenti ov'hanno patria i cigni,
alle vergini deita' consacra
l'alta regina mia candido un cigno.
Il terzo Inno, intitolato a Pallade (simbolo delle belle arti), dopo le prime due parti estremamente lacunose e incomplete, in cui si sarebbe dovuto narrare il soggiorno delle Grazie in compagnia di Venere sulla terra, in cielo e nell’Eliso, ci trasporta, nella sua terza parte, nell’isola mitica di Atlantide, regno di Pallade, ove la Dea fa tessere il velo promesso alle Grazie per proteggerne la grazia e il candore dall’assalto violento delle passioni degli uomini.
Quando gli uomini, corrotti dall’avidità e dalla lascivia, si abbandonano ai vizi e si immergono nelle guerre, allora Minerva li abbandona e si rifugia nel suo amabile regno.
Così avvenne quando la Dea decise di por mano al velo delle Grazie.
Le Ore dispongono sul telaio le fila dell’ordito tratte dai raggi del sole mentre le Parche mettono lo stame alla spola; Psiche, pensosa e taciturna, tesse, mentre Tersicore le danza intorno per divertirla ed incoraggiarla; Iride porge i colori a Flora, che li moltiplica in migliaia di varietà, per procedere al ricamo delle figure che Erato le suggerisce cantando al suono della lira di Talia. Infine l’Aurora trapunta di rose gli orli del velo su cui Ebe versa l'ambrosia rendendolo incorruttibile. Le figure sono raggruppate in vari soggetti che rappresentano la gioventù, l’amor coniugale, l’ospitalità, l’amore filiale e quello materno.
Infine il Poeta si accomiata dalle Grazie promettendo loro di rinnovare il rito nel mese di aprile e pregandole di vegliare sulla vita di MADDALENA:
...Intanto, o belle
o dell'arcano vergini custodi
celesti, un voto del mio core udite.
Date candidi giorni A LEI CHE SOLA,
DA CHE PIÙ LIETI MI FIORIANO GLI ANNI,
M'ARSE DIVINA D'IMMORTALE AMORE.
SOLA VIVE AL COR MIO CURA SOAVE,
SOLA E SECRETA SPARGERÀ LE CHIOME
SOVRA IL SEPOLCRO MIO, QUANDO LONTANO
NON PRESCRIVANO I FATI ANCHE IL SEPOLCRO.
.................................
A LEI DA PRESSO IL PIÈ VOLGETE, O GRAZIE,
E NEL MIRARVI, O DEE, TORNINO I GRANDI
OCCHI FATALI AL LOR NATÌO SORRISO.
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